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Spacca la Felicità – di Ettore Zanca

 

 La “normale” storia di N. e del suo papà
Che odore ha? Di arrosto fatto alla domenica, o alle feste.
Oppure di tagliatelle al ragù.
Che immagine ha? La vostra. I miei figli, mia moglie.
Non sarò stato speciale per i tempi che si vivono adesso, però la mia vita è stata vicina alla felicità. Quella che piace a me.
Non quella che ti investe senza giudizio, la felicità incosciente, imprudente e guascona.
Quella che ti strappa dalla tua vita perchè te la cambia all’improvviso.
Poco prima di andarmene ho visto una intervista a un cantante, uno di quelli che nella vita non è stato proprio quieto.
Il signore che lo intervistava gli ha chiesto: “tu che sei stato trasgressivo in tempi passati, in questo momento cosa sarebbe la trasgressione, per questo mondo?”
“La trasgressione adesso è farsi una famiglia, sposarsi, avere figli, durare tutta la vita insieme, questo sarebbe trasgressivo”, ha risposto.
Io sono stato trasgressivo, figlia mia.
La mia felicità l’ho toccata e assaporata la prima volta una sera.
Non che prima non ci fosse, ma quella sera ho capito che mi stava dando il suo biglietto da visita, che stavamo davvero facendo conoscenza.
Sono entrato e ho visto voi, i miei figli, mia moglie e ho preso delle briciole di pane.
Sfamando il mio amico pettirosso, ho diviso la mia serenità, la mia contentezza di far parte di un mondo in cui, tutto sommato, vale la pena camminare con i propri piedi.
Ho diviso la mia contentezza frammentata come briciole di pane, sfamando il mio amico che ogni sera veniva a farmi visita.
Non ho mai smesso di provare a dividere quello che c’era nel mio cuore. Se hai sette figli devi imparare a spartire le porzioni di amore paterno. Io ci ho provato.
Sono sempre stato orgoglioso di voi, delle vostre strade, orgoglioso anche dei vostri lividi. Non mi sono mai chiesto se fossi davvero un buon padre, se sei curioso, se lavori sette giorni su sette a cottimo, se sai sorridere a chi ti aspetta a casa a braccia aperte, non servono troppe domande.
Io col tempo che mi ha lavorato ai fianchi, che mi ha fatto invecchiare, ho avuto un buon rapporto, certo, ho faticato a capire come mai se un asino è un asino, alcuni lo indicano dicendo che è un cavallo.
E’ così che mi sembra adesso la vita che non mi appartiene, un continuo dare un nome bello a ciò che bello non è.
Lavori sempre più precari li chiamano “flessibilità”, non parliamo della politica. Doveva essere ciò che rappresentava le persone. Adesso vedo solo distanza e gelo. E egoismo. Se penso che hanno chiamato socialisti alcuni soggetti che con il mio Sandro Pertini, con il mio socialismo, non avevano nulla a che fare, perdo la mia serenità. Le idee io le ho chiare, servono poche parole, le frasi, servono a indicare strade che già percorri, non devono anticiparle.
La felicità è fatta di muscoli involontari, quelli che scatenano i sorrisi. La felicità è nelle briciole che regalavo ogni sera al mio amico pettirosso appena tornato a casa, dopo aver dato alla mia famiglia il migliore dei miei sorrisi stanchi. Per me significa questo essere un buon padre.
I muscoli che vi facevano sorridere a capodanno. Quanto ho amato quelle contrazioni.
La mattina di capodanno spazzavamo la polvere dei dispiaceri passati, cercavamo un motivo da favola per sperare nel nuovo e ci meravigliavamo di trovarvi ancora sorridenti per il nostro ballo.
La mattina di capodanno sognavamo di essere nelle grandi sale dei palazzi viennesi, forse era una delle poche fantasie ancorate ancora alla nostra giovinezza.
Una fantasia delicata, non quelle che squarciano la realtà con sogni invadenti, ma si prendono lo spazio di un piccolo strappo da sapori dolci. Le tagliatelle fatte in casa di tua mamma, il concerto di capodanno in TV.
Io che arrivavo in cucina con il vestito buono, brandivo tua madre, la portavo via dalle sue faccende per lo spazio di un valzer, mentre un solenne direttore d’orchestra di là dallo schermo, davanti a signore ingioiellate ci teneva il moccolo, senza nemmeno saperlo.
Adesso, da qui, non saprei dire se mi dava più gioia la vostra risata di dolce meraviglia nel vederci ballare o avere tra le braccia tua mamma in preda a un sogno di pochi minuti.
Una delle cose che ho imparato è che non si balla un valzer da soli.
Sembra una verità stupida, ma entra nella pelle quando capisci che una vita si sfarina come delle tagliatelle riuscite male, quando non è più capodanno e la sua gioia.
Quando tua mamma ha deciso che il valzer non si balla più. Perchè è venuto il momento di lasciarmi solo. Una moglie non dovrebbe mai morire prima del marito.
Lascia quella sensazione di incapacità. Almeno tra la gente con la mia mentalità.
Di botto diventi unico feudatario di un regno che guardavi con deferenza e che al rientro a casa trovavi magicamente in ordine. La casa.
Però tu lo sai che non mi sono arreso, non mi sono disperato, almeno con voi figli.
Le mie cicatrici di dolore le ho mimetizzate con le rughe dell’età. E voi non vi siete accorti di nulla. Ho visto la mia solitudine come una opportunità. Mi sono posto nuovi traguardi, non avrei immaginato che essere un bravo uomo di casa fosse una conquista, ma la gioia e la felicità senza tua mamma, diventavano qualcosa che, in parte, mi erano state sottratte dal cassetto dove tua mamma teneva le sue gioie più preziose.
Ho capito che per avere qualcosa di bello devi rinunciare. La rinuncia a tua mamma, portata via dal tempo che passa mi ha dato la gioia di essere nonno, evidentemente per ottenere felicità nuove devi dare in cambio quelle più datate.
Ho cercato di andarmene via in maniera dolce. Le lacrime non hanno un buon sapore, meglio condirle con lo zucchero.
Per questo, nonostante ce ne fosse ancora in casa ti ho chiesto di andarmene a prendere un altro chilo.
Mi hai chiesto perchè, da figlia curiosa di padre curioso.
- può servire domani e nei prossimi giorni quando ci sarà gente qui da me a prendere magari un caffè -
Ti vedevo sai? A scervellarti per qualche ricorrenza dimenticata, un anniversario, un compleanno.
Pensavi a ricorrenze che si ripetono, non avevi valutato quelle nuove che si cominciano a contare da quando accadono.
Come il morire.
Non sai le risate che mi sono fatto da lassù, quando vi vedevo con espressione incredula affondare i cucchiaini nello zucchero. Ne avete avuto tanto bisogno, è venuta un sacco di gente a vedermi, a tutti offrivate un caffè, con zucchero, tanto, poco, giusto un po’, tutti indizi di una dolcezza che ho provato a lasciare in giro, quella con cui me ne sono andato, dopo una vita senza onde eccessive, se ci sono state, ho cercato di tenere dritto il timone, accompgnandomi con le mie stelle. Voi. Ho avuto la meraviglia di una vita normale, posso osare? Felice. Tanto felice da dovervi qualcosa.
Perchè ti devo chiedere scusa. Come padre non ho fatto il mio dovere fino in fondo, ma non l’ho fatto apposta, io volevo darti una felicità intera, un blocco unico, volevo foste felici voi. Invece non per colpa mia ti hanno dato in eredità un mondo triste e grigio. Allora amore mio per favore, prendi tutta la felicità di una vita normale, tutta quella che ti ho regalato e spaccala a terra con tutta la forza possibile. I pezzi andranno dappertutto, non c’è felicità vera se non si condivide con chi non ha diritti, con chi ha lavorato una vita e gli hanno tolto i sorrisi e aggiunto troppa età, con chi subisce ingiustizie, spacca la felicità, tu ne hai avuta, fanne arrivare un pezzettino anche a chi guarda il mondo al contrario perchè lo costringono a sopravvivere invece che vivere. Con tanto affetto. Papà.
Le foto si sono ingiallite
sarà il troppo poco guardarle
dovrebbero prendere aria se vuoi conservarle
seduto su quella poltrona
con gli abiti ormai così larghi
che lì la mia mano affondava volendo abbracciarti
ricordo le brevi parole
che hai ripetuto più volte
e io non volevo ascoltare e parlavo più forte
non potevo capire
non avrai tempo per me
quando il tuo sguardo andrà in contro alla vita
quì non c’è posto per me
nella tua corsa infinita per prenderti il mondo
e il mondo ti aspetta
la scena è cambiata veloce
e mi hanno cambiato di ruolo
e guardo i miei figli dormire e parlo da solo
seduto su un’altra portona
ripeto le stesse parole
qualcuno le consumerà voleranno da sole
non avrai tempo per me
quando il tuo sguardo andrà in contro alla vita
quì non c’è posto per me
nella tua corsa infinita per prenderti il mondo
e il mondo ti aspetta
altri ricordi verranno
si rincorreranno stagioni
e dopo di noi canteranno le stesse canzoni
non avrai tempo per me
quando il tuo sguardo andrà in contro alla vita
quì non c’è posto per me
nella tua corsa infinita per prenderti il mondo
e il mondo ti aspetta.
Enrico Ruggeri – padri e figli
                                                                                    

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