Quantcast
Channel: La Valle dei Templi » narrativa
Viewing all articles
Browse latest Browse all 10

Alberi nella neve – di Sara Milla

$
0
0

Questo era lo zaino. Avevo avuto cura di indossare gli stivali meno logori. Queste erano le mie impronte. Nevicava da due giorni. Cominciava la notte per poi smettere all’alba, e riprendere dopo la nascita nascosta del sole. Ero anch’io nato di nascosto, in un sottotetto freddo di una casa di legno. Fasciato, come il sole, in panni bianchi  e presto grigi. Viaggiavo da tre giorni, ma mi era difficile tenere il conto. Cercavo un lavoro, altrove. Volevo vivere, e dove ero cresciuto non si poteva. Ero uscito dalla casa che era ancora notte, e non vi avrei fatto più ritorno. Il vento era forte e gli alberi ondeggiavano gemendo. Non era la stagione migliore, per andare via, mi dicevo mentre indossavo gli stivali e poi aprivo la porta. Non mi sono fermato a guardare la casa. Era buia come la notte e nessun sole avrebbe mai potuto rischiararla. Avevo radunato alcune cose nello zaino: del pane secco, della carne essiccata, dell’aglio. Calze di lana, le meno luride. Un libro, di quelli di scuola, anche se a scuola non c’ero mai andato. Avevo il mio destino, ripeteva mia madre. Quanti anni poteva avere, mia madre? Tutte le mattine si applicava alla fronte la striscia di pelle che teneva  il giogo intrecciato a mano e poi iniziava a salire, in mezzo alla neve, alla roccia, al ghiaccio, per raggiungere il sale. Avevo dieci anni forse, mia madre poco più del doppio. Non aveva quasi più denti, i suoi capelli erano striati di bianco, lunghissimi capelli neri.

La scuola è troppo distante, noi siamo dimenticati. In verità si può raggiungere. Come si scende con i gioghi pieni di sale per venderlo, si può scendere per andare a scuola. Il mio destino non lo voglio. Ora ne cerco un altro.

Nevica. Non perdo il sentiero, ne sono sicuro.

Lo zaino neppure lo sento, sono abituato alle zavorre di sale, avevo solo cinque anni quando ho incominciato. Con me gli altri bambini. Non cresciamo molto, abbiamo schiene e gambe deturpate dalla fatica. Non so dire cos’è che sia bello. Questo libro, che porto sulle spalle, ha dentro figure misteriose. Deve essere tanto che cammino, la luce si è sollevata. Spero che non mi cerchino e che mia madre se ne faccia una ragione, ora che è vecchia e desidera solo di rimanere nel suo letto. Gli altri si ricorderanno di lei allora? Le porteranno un piatto di hauatia?

Voglio arrivare a Cuzco e lì ricominciare. Ho fame. Mi siedo nell’aria fredda, qui non c’è riparo, neppure gli animali questa mattina sembra siano usciti dalle loro tane. Mi piacciono gli animali, ma mia madre dice che non devo affezionarmi. Loro fanno una vita dura, come la mia. Finisco questo pezzo di pane e mi rimetto in cammino. Devo arrivare ad un pianoro e da lì la via per Cuzco è facile. E’ una strada  con una lunga fila di alberi. L’ho percorsa in braccio a mia madre, ero piccolo, ma non l’ho più dimenticata. A seguirla si arriva in città. Comincio a correre e tiro fuori la lingua per catturare la neve. Correre senza pesi,correre da noi è impossibile. Si sale, ci si arrampica, ci si aggrappa con le mani nude a denti di roccia scivolosi, si muore di freddo, di fame, si cade giù e si sbatte sulle lastre di sale, inghiottiti dal bianco accecante. Non si gioca. Si crolla sul letto e si dorme.

-Hai dieci anni circa- ha sussurrato mia madre, ieri sera, mentre mi si chiudevano gli occhi. Sentivo che si affannava intorno al mio letto. Mi ha messo tra le mani un pezzo di carta. Ho socchiuso gli occhi. Aveva uno sguardo lucido, e sudava. Ha tentato di sorridermi. Mi sono tirato su e l’ho guardata meglio. Stava male. L’ho aiutata a stendersi. Non ci siamo detti niente. Avevo sonno e lei respirava forte. Infine ha smesso. Ho aperto la mano che ancora stava serrata intorno a quello che lei mi aveva dato. Era una moneta, d’oro, avvolta in uno straccio. Non ne avevo mai viste se non in mano ai mercanti di sale. Scuotevo mia madre, ma non rispose. Tutti dormivano e anche lei, senza respiro, calma. Volevo darle un bacio, non se ne sarebbe accorta. Ma non mi riuscì più di dormire, e così, le ore scorrevano nel buio, e ho pensato che dovevo andare via.

Smetto di correre, sono stanco, è stupido sprecare così la propria forza. Continua a nevicare fitto e quasi non si vede più niente, e le mie impronte non ci sono più. Anche lei, penso, non lascerà più impronte? Mi viene una tristezza, come al mattino, quando riconosco che al mondo non c’è che quel peso da portarsi sulla groppa e niente altro. Ho l’affanno, sento il respiro che esce dalla gola con un sibilo. Appena potrò mi fermerò e tirerò fuori il libro. E’ ridotto male, la rilegatura è usurata.

Ora il cielo è grigio, cammino guardando il terreno dove affiora qualche sterpo ghiacciato nella neve. E’ tutto immobile e silenzioso, si avverte solo il mio respiro. Se respiro sono vivo. Mi fermo.

Alzo lo sguardo. Non scendo più, di fronte a me, a perdita d’occhio, c’è un pianoro bianco immacolato, e non si distingue la terra dal cielo. Il solo segno che traccia lo spazio è il rettilineo degli alberi, una lunga fila di alberi che si perde fin verso l’orizzonte. Esili, neri, ordinati, spogli.

-Questa è la strada, questo è il segno- mormoro. E continuo a dirlo a voce sommessa, passando accanto agli alberi, toccando i tronchi snelli con la punta delle dita, per non disturbarli nel loro sonno di sentinelle.


Viewing all articles
Browse latest Browse all 10

Trending Articles